SINCERI APPLAUSI A GIULIO, IL COACH RESTAURATORE

PRESTO E BENE: L'IMPRESONA DI LAVEZZI, MAESTRO DEL RIMPASTO

 Giulio Lavezzi

PIACENZA - Davanti a un caffè, ai primi di dicembre in via Taverna, i due dirigenti si guardano negli occhi di fronte a quel "sì, accetto la panchina". Sono sguardi a mezza via tra la sorpresa e l'incredulità. Ma come? Ha accettato? C'è cascato? Eppure nel caffè non c'era nessuna polverina magica...
Ma come, questo qui, allenatore con 26 anni di carriera, davvero è così folle da prendere in mano una squadra penultima in classifica, con mezzo roster spolpato da partenze e assenze a raffica?
"Sì, accetto la panchina" ribadisce lui, prendendo per buone tutte le promesse dei dirigenti su rinforzini e rinforzoni di una rosa a quel punto bisognosa di nuovi colori.
Quello del caffè senza polverina sorseggiato in via Taverna è Giulio Lavezzi, sulle spalle una sconfinata strada di esperienze, a cavallo tra maschile e femminile, come pochissimi possono vantare in provincia. Tante vittorie in bacheca, soprattutto un modo di fare e di essere che, su Lavezzi, tecnico forte di larghi consensi, mette tutti d'accordo.
Lavezzi che accetta tutto, che non rompe le scatole su niente. Che si mette subito all'opera, in silenzio. Che ti fa capire che, in fondo, la pallacanestro è una cosa semplice, basta non credersi profeti di chissà che cosa e non riempirsi la bocca di fumose stronzate da vendere in giro a comando.
La storia adesso è sotto gli occhi di tutti. Al di là della rivoluzione tecnica che ha portato il Basket Sole a inglobare in corsa mezza squadra, la vera sfida era cominciare a dicembre una stagione che, nel frattempo, per tutti era iniziata tre mesi prima.
Tabula più o meno rasa, nel contesto di una condizione oggettiva resa pesante da una classifica tendente al nero. Il viaggio è stato difficoltoso, tortuoso, pieno di buche, di trabocchetti, di sfighe più o meno grandi. Alla fine, i fatti parlano di un Lavezzi coach restauratore, di un Lavezzi che, alla velocità della luce, ha rimpastato tutto e, con la preziosa collaborazione di Fabio Cavagnoli, creato un giocattolo dignitoso, decoroso, a tratti in grado di giocare un basket anche molto gradevole.
Un giocattolo che, alla fine, è stato soprattutto un inno alla praticità, al "cotto e mangiato", perché le spade di Damocle di una retrocessione diretta e dei play out hanno ondeggiato per un pezzo sulla testa del Basket Sole. Perché quando stai naufragando, non stai certo a guardare se il nodo della cravatta è perfetto...
Un Basket Sole a cui Lavezzi ha dato un'identità tecnica e un linguaggio comune. Già questo, in assoluto, è un ottimo risultato, che diventa di qualità ancora superiore se teniamo in considerazione il tempo a disposizione e la logistica di tante anime dello spogliatoio da fondere in fretta e furia.
La chiave di volta è stata la collaborazione dei giocatori. Vecchia guardia e volti nuovi lo hanno seguito. Senza esitare. Sposandone le idee, i modi di fare. Cavagnoli, a proposito. Lavezzi se l'è tenuto vicino, non ha avuto attacchi di gelosia o sospetti d'interferenze. Così, Cavagnoli, tecnico uscente, è diventato il suo primo e prezioso consigliere, lo specchio tecnico con cui confrontarsi.
E oggi siamo qui a festeggiare questa qualificazione ai play off negli anni al Basket Sole diventata routine e, invece, adesso impresa vera e propria. Impresona autografata Giulio Lavezzi, forse mai in carriera coach così restautore e mai così coach del rimpasto. Grazie Giulio.